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Sant'Anatolia di Narco

E' un paese della Valdinarco, elevato su un piccolo terrazzo fluviale, di mt. 328, ai piedi del  monte Coscerno, incorniciato da boschi di roverella carpino acero e pino d'aleppo.  Il nome  sembra  venirgli, perché  qui fu  il centro  dei primi popoli Sabini Naharci;  secondo  altri dal fiume  Nar  (Nera) o,  secondo altri, dai monaci siriaci;  infine, dal nome di uno dei quattro  nobili francesi Narco,che avrebbe avuto  il dominio della Valnerina e avrebbero edificato Castel San Felice.

Nel 1883 fu scoperta una necropoli al voc. Piano con urne cinerarie, scudi bronzei monili, vasi fittili, ora al museo archeologico di Firenze,  riferibili  al  periodo Sabino   (VIII°-IV° sec. a.C.).   Del   periodo romano abbiamo due epigrafi funerarie di Tito Veiano Suro e di Lucio Casidore, inserite nel muro della chiesa di Santa Maria delle Grazie. Fu allora un vicus romano e certamente la gente si ritirò sul colle per evitare le alluvioni del Nera e il passaggio di truppe. Il Cristianesimo vi fu portato dai monaci siriaci nel V° secolo. Questa zona dipese lungamente dal municipio di Interamna (Terni), anche quando a questo successe la diocesi, come si ricava dalla Bolla di Benedetto III° dell'856. Il 31 gennaio 962 la Valnerina fu donata da Ottone I° a Giovanni XII°, in occasione della sua incoronazione. Nel 1155 vi transitò l'esercito di Barbarossa, proveniente da Roma e diretto a Spoleto, che fu distrutta. Nel secolo VIII c'era una curtis longobarda,  che nel  secolo  XII  si  trasformò nel castello di Naharco (1178) fatto costruire da Corrado di Urselingen e poi passato alla Chiesa nel 1198. Il castello svevo fu distrutto dagli spoletini, che n’edificarono un altro vicino, a cui dettero il nome di Santa Anatolia, in onore della Vergine e martire. Anatolia Callistene (la più bella) è ricordata dal martirologio il 9 luglio e fu martirizzata unitamente alla sorella Vittoria nel 251 sotto Gallo Treboniano successore di Decio, a Tora, sulla confluenza del Turano con il Velino. Fu trapassata dalla spada. Apparteneva alla nobile famiglia romana degli Anici Frangipane. I benedettini diffusero dalle nostre parti il culto della Santa e qui le fu dedicata la Pieve.

Rainaldo, figlio di Corrado, riconquistò queste zone, devastandole con la presenza di terribili saraceni (1228). Allontanatosi Rainaldo, tutti i castelli tornarono nell'ambito del comune spoletino. Nel 1258 vi transitò Re Manfredi con saraceni e tartari, e, nel 1265, Carlo D'Angiò, diretto contro gli Svevi. Nel 1241 Sant'Anatolia pagava il forum a Federico II. Poi ritornò a Spoleto. Nel 1338, dopo la ventata ghibellina apportata sulla montagna da Federico di Urbino ( 1332 ), Spoleto guelfa chiese ai Castelli che erano stati già suoi, di rinnovare la sudditanza. Essi non accettarono e il Comune di Spoleto li condannò in contumacia. Spoleto intentò causa presso la curia ducale, causa che fu risolta sub logia communis Monti Falconis (Montefalco), dove risiedeva allora la corte, con l'assoluzione dei castelli e il riconoscimento del mero e misto imperio. I castelli erano dodici e si erano legati in federazione sotto l'egida dell'abbazia di San Pietro in Valle. Nel 1337 Sant'Anatolia fu dichiarata fedele a Spoleto e il cardinale Capocci, nel 1327,confermò il possesso del comune di Spoleto sui castelli della Valnerina. Nel 1382 transitò per la Valle Luigi I D'Angiò con Amedeo VI°, conte Verde, chiamato in soccorso dalla regina Giovanna Iª di Napoli. L'anno dopo Sant'Anatolia ottenne il mero e misto imperio per le cause di minore importanza.

Discordie nel 1387 con Scheggino per i confini Comunali, furono risolte con arbitraggio. Nel 1320 si rifecero le mura castellane. Verso la metà del secolo XIV vennero introdotti gli Osservanti a Santa Croce. Nel paese v'era anche un piccolo ospedale. Nuova scossa di ghibellini a Spoleto e Valnerina durante lo scisma. Tommaso da Chiavano e Giovanni di Cola di Monteleone, diretti a Spoleto per liberare i ghibellini chiusi nella rocca, depredarono Sant'Anatolia e paesi vicini. Al ritorno, sconfitti, completarono la devastazione (1390-91). Nel 1419 vi passò, andata e ritorno, la cavalleria di Fortebraccio, diretta a L'Aquila. Nel 1437 vi transitò un grosso esercito verso la Marca di Francesco Sforza; nel 1443 truppe napoletane di Alfonso d'Aragona.

     Nel  1506  altre  discordie  confinarie  con  Scheggino  furono risolte in favore di questo castello dal rettore del ducato; similmente nel 1518. Nel 1511 passarono truppe napoletane inviate da Giulio II° contro i francesi. All'inizio del 1522 la zona fu battuta dai banditi di Picozzo e Petrone. Nel 1527, circa 10.000 Ianzichenecchi e colonnesi, reduci dal sacco di Roma, guidati da Sciarra Colonna, passarono nella valle, devastando e portando la peste. Nel 1540 transitò per la valle l'esercito di Pierluigi Farnese, forte di 4.000 spagnoli, che vi sostarono a lungo prima di andare a Perugia per la guerra del sale; altre truppe francesi vi passarono nel 1557.  Il 5/7/1551 Sant'Anatolia si dette gli Statuti comunali. Fino ad allora era stata una comunitas semi-indipendente, poi assorbita da Spoleto, come i vicini castelli di Caso e Gavelli. Fu legata a Spoleto da secolari vicende civili e religiose.

Gli Statuti si trovano ora all'Archivio di Stato a Roma, con il titolo di “Statuti di Sant'Anatolia di Narco”, Spoleto - Perugia. Si dividono in cinque libri De officialibus (de regimine), De causis civilibus; De causis criminalibus; De Damnis datis; De extraordinariis. Seguono le riformanze dal 1552 al 1798. Questi Statuti e le riformanze dovevano essere inviati al comune di Spoleto annualmente per il controllo. Base del governo era il consiglio generale o arenga dei capifamiglia; c'erano: la cernita, cioè la giunta costituita da tre consiglieri; il vicario annuale, nativo del castello, presidente del piccolo comune; il podestà, forestiero, semestrale, inviato da Spoleto; il camerario, ciò l'esattore; il bailo, messo comunale; un notaio e altri ufficiali minori. Negli Statuti è messo in rilievo il senso religioso. Molte norme riguardavano la vita agricola del castello. Molta austerità e severità. Le misure legali erano quelle comunali, alle quali si doveva ricorrere. Erano in affitto il molino, il macello e l'Ospedale. Il comune doveva essere una piccola famiglia, dove a nessuno  era permesso di sperperare denaro o cose, Minute le norme igieniche pubbliche, stabilite le date di fienagione sul monte Coscerno. Per le feste, che erano molte, si sceglievano dall'arenga i Santesi. Durante le cerimonie religiose, si doveva ovunque parlare a voce bassa e i negozi restare chiusi. Il comune dava per ogni festività una precisata offerta.

Nel 1575 grave  pestilenza   in  tutta  la   zona. Sant'Anatolia, come tutti i  comuni della Val di Narco, restarono sostanzialmente fedeli a Spoleto e alla Chiesa fino al 1798. Con l'arrivo dei francesi, la Valnerina appartenne al secondo cantone spoletino. Ogni castello alzò l'albero della libertà. Tutta la montagna fu invasa dagli Insorgenti, cioè dai renitenti alla leva, cui si accodarono numerosi briganti, i quali devastarono la zona. Bernardo Latini di Castel San Felice fu capo degli Insorgenti e ci furono scaramucce con le truppe francesi. I primi castelli a sollevarsi furono Scheggino e Sant'Anatolia e vennero duramente repressi dalle truppe regolari. Con la Restaurazione, Sant'Anatolia restò comune appodiato a Spoleto con un sindaco proprio.

Nel 185  furono aperte delle vere strade nella Valnerina per Spoleto, Visso, Norcia; nel 1861 per Terni. Con l'avvento del Regno, si programmò di unire tutte le comunità della Valle in unico comune a Scheggino: nel 1875 fu Soppresso il comune di Ceselli e, nel 1895, quelli di Caso e Monte San Vito; Sant'Anatolia e Vallo restarono autonomi. Nel 1927 i tre comunelli della Valnerina furono soppressi e il territorio aggregato a quello di Spoleto: due anni dopo furono ripristinati. Lo stemma del comune più antico è la Santa Vergine. Quando il castello passò sotto Spoleto nel secolo XII, lo stemma fu completato nella parte superiore con una croce sul lato destro e San Ponziano a cavallo sul lato sinistro. Il sigillo della Pieve porta la Vergine tra due torri (secolo XIV).

La pieve di Sant'Anatolia si estendeva allora anche sul castello di Scheggino, Vallo e San Felice: a Sant'Anatolia era la fonte battesimale. Dipendevano da questa pieve una ventina fra chiese e ospedali. Nel 1712, Sant'Anatolia faceva 260 abitanti. Entrando in paese, per la duplice porta, dominata dalla nicchia della Vergine titolare, si vede davanti la chiesa dedicata a Sant'Anatolia, dipinta nell'interno. La chiesa di Santa Maria delle Grazie (una volta Madonna della Neve), era una edicola campestre con affresco del secolo XV di scuola umbra con influsso senese: Madonna col Bambino ritto e benedicente, guardato amorosamente dalla madre; ai lati il Battista e Sant'Anatonio Abate. La cappella vi sorse nel 1575 e ha affreschi di Piermatteo Gigli, discepolo di Iacopo Siculo: nel duomo di Spoleto: in più i quattro Evancelisti e molti santi attorno al mistico Agnello, tra cui le Vergini Agata, Anatolia, Maddalena, Cristina, Lucia, Vittoria, Appollonia e  Barbara.

Al Comune di Sant'Anatolia appartengono le frazioni di Castel San Felice, Caso, Gavelli e Grotti, già tutte comunità indipendenti.

Fonte: Comune di Sant'Anatolia di Narco

 

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